La falce bianca - Graziano Turrini

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La falce bianca

Racconti

LA FALCE BIANCA

Il racconto "La falce bianca" è in fase di pubblicazione.
Nell’attesa, vi proponiamo la lettura dell’incipit:

"Mancavano pochi minuti alle sette, quando Consuelo Romero Ibarra inseriva la chiave nel cancelletto del giardino che portava all’abitazione di Yona Peretz. Nei venti metri che la separavano dal portoncino d’ingresso della casa ripercorse mentalmente, come fosse un film, la storia che l’aveva portata fin lì. Lei, peruviana di Ayacucho, costretta a rifugiarsi a Lima, la capitale, per scappare dalla fame e dalle violenze dell’esercito e delle bande armate ribelli, proprio nella capitale aveva conosciuto il "muro della vergogna", quel muro di oltre tre metri che, per decine di chilometri di cemento e filo spinato, separava i quartieri ricchi di La Molina e Santiago del Surco dalle baraccopoli come Miraflores e Villa Marìa, dove finivano gli immigrati come lei. Tre anni visse in quelle case di fango e lamiera, tre anni senza acqua e con l’energia elettrica rubata di tanto in tanto alle linee cittadine, tre anni di sofferenze, umiliazioni, angherie, fino a decidere il grande salto - l’Europa, l’Italia - dove altri peruviani si erano sistemati servendo nelle case dei "signori". Lei, appena arrivata, aveva avuto la fortuna di incontrare il professore: Yona Peretz aveva provveduto a tutte le pratiche e l’aveva presa a cuore - e a servizio - regolarizzandone la posizione davanti alla legge italiana. Più d’una volta Consuelo aveva pensato di essergli debitrice della vita, e che per il professore sarebbe stata disposta a sacrificare la propria, se ce ne fosse stato bisogno.
Si accorse che qualcosa non andava allorché, entrando, non lo trovò, come al solito, seduto al tavolo della cucina. Non c’erano tazze preparate, né profumo di caffè e pane caldo: la colazione del mattino che lui, immancabilmente e metodicamente, si preparava da solo appena alzato. Provò a chiamarlo, ma non ottenne nessuna risposta. Iniziò a salire le scale, sempre più preoccupata: sentiva l’ansia salirle dentro, sentiva che era successo qualcosa al suo professore. Bussò alla camera, delicatamente. «Señor Yona, soy yo, Consuelo …»  Attese qualche secondo, inutilmente, la risposta, poi spinse la porta con la maniglia, scostandola leggermente, quel tanto che bastava per infilarci la testa dentro: «Todo bien, señor? Estaba preocupada y …» E in quel momento lo vide: vide il suo corpo sul letto, vide la sua posizione scomposta, vide il sangue dappertutto, e capì che per il señor Yona Peretz non c’era più niente da fare.
Si portò una mano alla bocca per impedirsi di urlare, ma non si spaventò, e neppure svenne. Cadaveri ne aveva visti sin troppi nella sua seppur breve esperienza di vita: nelle campagne di Ayacucho prima, e nella baraccopoli di Miraflores poi … uomini e donne, sventrati, decapitati, squarciati, fatti a pezzi, … Sapeva cos’era la Morte e aveva imparato a temerla e rispettarla. Non si fece prendere dal panico: si sedette sulla sedia a fianco del letto, tirò fuori il suo cellulare dalla tasca del grembiule e chiamò i Carabinieri. Poi, presa la mano di Yona Peretz, la strinse tra le proprie, e iniziò a pregare. E a piangere.
… … …"


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